Humans in Paris

Una nuova intervista a cura di Jo Velvet

Humans in Paris project 

dialoga con Jo Velvet

Cara Giorgia, ti scrivo da Venezia e ti mando un abbraccio e un saluto alla città del mio cuore: Parigi. Io e tutti i nostri lettori siamo invidiosissimi della tua vita parigina e sicuramente vogliamo saperne di più, ma sopratutto l’argomento di cui voglio parlare è il tuo interessante progetto fotografico.

Siamo solite iniziare le nostre interviste sempre con le presentazioni, quindi presentati come più preferisci:

Ciao Giorgia, che piacere essere intervistata da te, adoro “Je Ne Sais Quoi”: è ricco di rubriche interessanti ed originali, la trovo veramente un’idea ben pensata e riuscita, complimenti! (grazie mille, fa super piacere sentirlo!)

Che dire su di me? Oltre al fatto che siamo omonime,  mi sento di dire che sono una ragazza fuggita da una realtà che mi stava troppo stretta da sempre, per venire in una di cui  invece mi sono sempre sentita in qualche modo parte, come se Parigi mi avesse sempre tenuto un posto pronto; ma il coraggio l’ho preso solo due anni e fa e posso dire che da quel momento ho iniziato a vivere la mia vita più autentica. Certo, in questa frenetica città non sempre vivo “la vie en rose” e mi sono anche scontrata con le delusioni tipiche della fine della “fase luna di miele” ma ho vissuto e continuo a  vivere dei momenti magici che mi fanno sempre rinnamorare della città e momenti che mi hanno cambiata come persona: qui ho imparato a vivere giorno dopo giorno, cosa che non ho mai saputo fare prima e ho preso sempre più consapevolezza di quali sono i miei talenti, su cui cerco di investire, seppure non è sempre facile scegliere a cosa dare la priorità, su cosa concentrarsi; proprio ultimamente però sto capendo che non voglio e non devo limitarmi ad essere una sola etichetta, ma che devo invece far convivere tutte “le mie mille me” come direbbe Levante, o la mia psicologa!

Mi presento quindi come Giorgia, un’aspirante cantante con l’occhio per la fotografia, ma soprattutto l’occhio curioso, pronto a catturare l’essenza del genere umano da cui sono e sarò eternamente affascinata. Artista a modo mio, circondata da “artisti a modo loro” e sono proprio questi incontri e scambi con essi che mi ispirano a creare ed esprimere ciò che sono e ciò che voglio comunicare.

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Dopo questo breve riscaldamento direi di iniziare ufficialmente con le domande per la nostra intervista :

  • Prima di tutto, raccontami come è nato questo progetto e quando hai iniziato a scattare fotografie di esseri umani.

Questo progetto è nato in realtà in maniera del tutto casuale e a dire il vero nemmeno ricordo quale sia stata la prima foto che ho scattato: quando venni in vacanza a Parigi nel 2019, mentre passeggiavo per le strade della città, spesso mi imbattevo in personaggi stravaganti o in altri invece particolari nella loro semplicità, per quanto possa quasi suonare come un ossimoro. Ho deciso di fotografare qualsiasi persona o scena mi trasmettesse qualcosa e così piano piano mi sono resa conto di avere una raccolta di foto; quando poi mi sono trasferita a Parigi due anni fa, in maniera del tutto spontanea ho continuato questo “gioco” che è poi diventato un vero e proprio progetto.

  • Il titolo mi piace moltissimo, è super accattivante e dritto al punto. Humans in Paris. Mi immagino già un libro stampato con le tue fotografie e le storie (di finzione o reali) di quelle persone che hai catturato in immagine fotografica. Come mai hai scelto la fotografia, è un’arte a cui sei legata particolarmente? Che fotocamera utilizzi, raccontaci i tuoi segreti tecnici.

Per il titolo devo ammettere che non è farina del mio sacco: quando ero adolescente seguivo su Facebook una pagina che si chiamava “Humans Of New York”, gestita da Brandon Stanton, un fotografo che se ne andava in giro per la Grande Mela a fotografare persone facendogli raccontare storie sulla loro vita e questo mi ha colpita così tanto al punto da rimanere per anni un’ispirazione latente nel mio subconscio, così poi quando casualmente ho iniziato a “collezionare” i miei umani ho subito ripensato a questo progetto e a quanto quello che stavo facendo in qualche modo gli somigliasse e ho deciso di crearne la mia versione, spero che Brandon non me ne voglia! (secondo me ne sarebbe fiero)

Se cercate su internet in realtà oramai esistono tantissimi “Humans Of…” ma io trovo sia bellissimo: tutti possiamo contribuire ad un gigantesco album di umani provenienti da tutto il mondo, possiamo conoscere e raccontare le loro storie ed empatizzare con loro, rivederci nei loro sguardi o nei colori che hanno scelto di indossare quel giorno o in questa vita! (hai ragione, è un’idea bellissima, una collezione mondiale di fotografie di umani di ogni città e di ogni paese)

Per quanto riguarda i segreti tecnici: non ne ho! Non conosco quasi nulla di fotografia e non ho mai avuto la passione per le macchine fotografiche, per questo non amo definirmi fotografa, mi definisco piuttosto una curiosa con un buon occhio attento: la fotografia è un’arte bellissima che ammiro molto ma nel mio caso è solo un modo di immortalare in un frammento le anime e le energie di persone o cose che con un assordante silenzio mi parlano. Fotografare per me è un puro impulso, per questo la maggior parte delle mie foto sono scattate con il mio iPhone, a volte utilizzo la mia macchina fotografica ma i momenti da catturare sono così talmente fugaci che sarebbe un peccato perderseli perché si devono settare le impostazioni per scattare; certo il fattore estetico è importante ma a me interessa immobilizzare quella scena in un frame, se poi sbaglio la foto mi dico “peccato” ma in qualche modo quel momento rimane.

Ovviamente con lo studio della disciplina questo rischio diminuisce e non voglio assolutamente dire che non occorre studiare, anzi, incoraggio a farlo e magari un giorno io stessa avrò di fare dei corsi, ma per il momento spero comunque di riuscire a comunicare ciò che i miei occhi vedono. (secondo me ci stai riuscendo benissimo e devo ammettere che anche io scatto molte delle mie foto con l’iPhone, in fondo è la cosa che abbiamo sempre in tasca e ci permette di immortalare i momenti)

So che da poco sei ritornata dall’Italia, dove nella tua regione hai dato vita con una tua amica ad un bellissimo progetto a tema Parigi. Vuoi raccontarci qualcosa anche di questo e come siete riuscite a ricreare l’atmosfera parigina in Italia.

Non ti nascondo che anche questo evento è nato in maniera totalmente spontanea: era da un po’ di tempo che volevo organizzare una mostra con queste foto, ma per gli stessi motivi di cui parlavo sopra: ovvero il fatto di non essere una vera fotografa, non mi sono mai sentita “legittima” nel farlo e avevo paura di non essere presa sul serio ed esprimendo queste perplessità a delle mie amiche e colleghe, mi è stato consigliato di esporre le foto in formato polaroid, così da dare più importanza al contenuto che alla qualità (intesa come “definizione” della foto), l’ho trovata un’idea carina ma non ero ancora del tutto convinta, fin quando un giorno, mentre aspettavo un’amica all’uscita della metro, mi sono imbattuta in una classica edicola parigina in cui su un espositore erano presentate delle foto polaroid molto simili a quelle che scatto io e così da lì è partito tutto il brainstorming e mi sono detta: perché non ricreare questo angolo di Parigi in Italia? Dopo tanti ragionamenti sono arrivata alla conclusione di voler creare una serata-evento in cui poter unire tutte le mie passioni: è diventata quindi una vera a propria serata con atmosfera parigina! (peccato essermela persa)

Ho deciso di scegliere l’Italia come palco di prova e l’ho fatto letteralmente su un palcoscenico, non uno qualunque ma uno a me molto caro, quello del Bar Piccadilly di Chiaravalle, in cui feci il mio esordio con la mia band e di cui ho sempre conservato un piacevolissimo ricordo, merito di Giordano Canonico, che da anni lo gestisce con amore e passione e accoglie sempre con entusiasmo le proposte di noi giovani alle prime armi; tutto il suo staff ha contribuito fortemente alla riuscita di questo evento, così come la mia “partner in crimeIrene Carloni, che non ho esistato nemmeno un secondo a chiamare per aiutarmi nell’organizzazione e nella comunicazione dell’evento: oltre ad essere una carissima amica, Irene è una copywriter e social media manager di gran talento e ho voluto darle tutto lo spazio che merita. Inoltre, siamo sempre state legate, ma andando avanti negli anni ci siamo trovate sempre più vicine nelle passioni e i pensieri che condividiamo, quando ci rivediamo o quando ci sentiamo al telefono ci capita di fare insieme ragionamenti sulla vita, sulle nostre, su quello che siamo diventate, quello che vorremmo essere e i sacrifici e gli sforzi che dobbiamo fare per raggiungere i nostri obbiettivi e nonostante momenti di sconforto, ci incoraggiamo e ci sosteniamo a vicenda e devo dire che abbiamo dimostrato di essere un duo che funziona, per questo ho voglia di collaborare con lei! (bravissime, continuate così. Le tue parole sono di grande ispirazione)

Un grazie infinito anche a Paolo Bucciarelli per avermi aiutato a realizzare la scenografia.

Scusate se mi sono dilungata ma ci tenevo a ringraziare chi ha reso possibile questo evento. (hai fatto benissimo, nessun problema, anzi è davvero bello scoprire i nomi e i talenti che ti hanno aiutato nel tuo progetto!)

Come se finora fossi stata breve!!

  • Humans in Paris, un progetto fotografico all’apparenza semplice ma pieno di significati profondi. Le tue foto raffigurano persone di ogni genere ed età, sconosciuti (correggimi se sbaglio) che sono, nel momento del tuo scatto, “rapiti” dalla loro attività, che sia guardare un opera d’arte o ballare. Guardare le tue foto, almeno per quanto mi riguarda, mi fa rivivere in quell’istante quel momento congelato nel tempo, questa è la vera magia della fotografia e forse quell’immortalità che ci attrae. Cosa provi tu, nel momento in cui scatti quella foto? E come scegli i tuoi “attori” / esseri umani? E poi, una piccola curiosità…alla fine la foto la regali anche a loro oppure rimango all’oscuro di tutto?

La sensazione che hai descritto è proprio quella che vorrei che ognuno provasse guardando le mie foto ed è in fin dei conti la stessa che provo anch’io: mentre fotografo i miei soggetti, io stessa insieme a loro vivo quel momento preciso, anche se loro non ne sono consapevoli, se riguardo le mie foto io sento di aver creato un legame con loro, per quanto assurdo possa suonare detta così! Non sono io che scelgo “i miei umani” sono loro a scegliere me, mi attraggono e mi chiamano con la loro energia magnetica e quasi mi ipnotizzano.  Io credo molto nelle energie e  non voglio essere pretenziosa, ma grazie alla mia sensibilità (che negli anni ho tanto maledetto) riesco a percepire quelle dei miei soggetti ed è così che si crea tra noi una sorta di comunicazione implicita, ecco perché dico che “Humans in Paris” va al di là della fotografia, la fotografia è solo il mezzo per mostrare in immagini questo scambio energetico. (è un concetto bellissimo)

Io sono dietro l’obbiettivo ma in qualche modo sono anche parte della foto o piuttosto della storia: nell’immagine compaiono loro, ma ciò che c’è dietro è il nostro “incontro” senza sapere perché ci siamo scelti.

Quando ad esempio ritraggo persone intente ad osservare un quadro è come se questo venisse nuovamente creato davanti ai miei occhi, come se io fossi un pittore e loro i miei soggetti ritratti nella nuova versione del dipinto. 

Purtroppo per ora non ho mai regalato una foto ai soggetti stessi, sarò sincera, temo molto la loro reazione, spesso mi sento anche in colpa a non chiedere il permesso di fotografarli  ( raramente mi capita di scattare foto posate ) ma così facendo perderei il significato originale del progetto e tutta la spontaneità e rovinerebbe la magia. (capisco, penso la stessa cosa, non si può mai sapere come potrebbero reagire e “rubare” questi scatti, è vero, rende il tuo progetto più magico)

  • Se sei stanca facciamo una pausa, ma io continuo a scrivere, tu rispondi pure con calma. Il tuo progetto prende in pieno la città dove vivi, Parigi. Ti chiedo quindi bevente di raccontarci che rapporto hai con la città e come la vivi, come ai tuoi occhi Parigi si rivela ogni giorno e se hai mai pensato di fare un “sequel” del tuo progetto, magari in un’altra città e se sì, quale?

Come raccontavo all’inizio, questo progetto è nato casualmente, o forse no, a Parigi mentre ero in visita come turista e poi essendomici trasferita ho pensato fosse bello continuare proprio qui, ma ovviamente mi è capitato di fotografare in altre città e per il futuro ho in progetto di presentare l’Italia a Parigi così come ho fatto con Parigi in Italia.  (attendo con ansia all’ora)


Per il momento la mia collezione di umani è a nella ville lumière, ma non ritrae solo nativi ed è proprio per questo che ho voluto chiamarle il progettto “Humans IN Paris” e non “Of Paris” perché a volte non so se quelle persone siano di passaggio in questa città, spesso mi piace pensare cosi’. (hai ragione)

Parigi, mi fece innamorare al tempo perché mi dava spazio, mi ha accolto a braccia aperte, anche quando ho cercato rifugio in lei venendo a vivere qui dopo una storia d’amore finita male: Parigi è stata l’abbraccio di cui avevo bisogno e nonostante oggi io ne veda e ne subisca anche i lati negativi, continua ad essere ai miei occhi un grande palcoscenico, una pièce teatrale in cui ognuno di noi ha un ruolo ben preciso. (non sai quanto comprendo, mi manca Parigi e presto anche io verrò nuovamente rapita dal suo abbraccio)

  • Ora vorrei provare a parlare di una foto in particolare, una la scelgo io e nella prossima domanda ti lascio la libertà di parlarci tu di una foto che ti è particolarmente cara. La foto che ho scelto è: “Choisir Monet”. Nonché la prima foto che hai deciso di postare sul tuo account Instagram (seguitela, vi lascio il link).  La foto in questione è stata scattata in uno dei miei musei parigini preferiti: il Musée de l’Orangerie, luogo mistico dove ritrovare la pace interiore immersi nelle ninfee di Claud Monet. La tua foto raffigura due persone sedute di spalle, immagino siano una coppia di turisti, con le loro maglie estive dallo stile sgargiante e particolare sono i soggetti che catturano l’occhio al primo sguardo, il loro corpo rilassato ci permette di sentire la pace che scorre nelle loro vene, tutto questo grazie all’ “effetto Monet”. La stanza, per chi la conosce, ha una forma ovale, ed è una delle due stanze del museo ricoperta dei dipinti di Monet (non contando il piano sottostante dedicato ad altre mostre), il bianco ed anche il vuoto intorno ai due soggetti rende la tua foto un momento speciale, i due sono soli al museo? Ci viene da pensare, quando in realtà è davvero difficile trovarsi davvero soli in un museo di Parigi, eppure loro sembrano esserlo. Forse lo sono davvero, anche se magari dietro la fotocamera, oltre a te, ci sono altri turisti che scattano foto. I due sono totalmente immersi nel quadro, una foto che riesce a trasmettere ciò che si proverebbe stando seduti dove sono seduti loro, è questo che mi colpisce e che mi riporta in quel museo che ho tanto amato. La mia riflessione sulla tua fotografia è un flusso di pensieri, magari ci siamo perse e ora riavvolgiamo il nastro e torniamo all’intervista. Parlami tu di questa foto, cosa suscita in te e come mai hai deciso di scattarla?
Choisir Monet

Hai centrato il punto descrivendo L’Orangerie come “luogo mistico” in cui ritrovare la pace interiore” perché è proprio quello che rappresenta per me e quello che mi ha portata quel giorno in quelle sale: la prima volta che vidi le ninfee di Monet rimasi immobile, immersa nella natura impressionista per ben quindici minuti, parlizzata davanti a tanta inspiegabile ed immensa bellezza ed una volta tornata in me, sentii una sensazione di pace e tranquillità incredibile.

La mattina della famosa foto mi ero svegliata di malumore e ho sentito come una voce interiore che mi ha detto “Vai da Monet” e così  sono corsa al museo sapendo che entrare in quelle stanze ovali mi avrebbe calmata, era la riposta alla domanda: “che cosa mi farebbe bene all’anima?” 

Mentre ero in contemplazione ho notato questa coppia di signori seduti di fronte ad una delle tele e mi sono chiesta “Chissà che cosa li ha spinti a venire qui ad ammirare le ninfee? Chissà perché proprio oggi? Chissà se per i miei stessi motivi? Chissà se come me anche loro si rifugiano nell’arte per sentirsi meglio?”

Da qui il titolo “Choisir Monet” ovvero “scegliere Monet” perché entrambi, quella mattina, per un motivo o per un altro, abbiamo scelto Monet. (Giorgia, nelle tue parole, ritrovo i miei stessi pensieri, la stessa sensibilità e passione verso le varie forme artistiche, è davvero un piacere scrivere, leggere e comprendere questo dialogo)

  • Domanda libera: parlaci nel dettaglio di una fotografia che hai scattato e che in qualche modo ti ha parlato più delle altre.
Le calin Kandinsky

Credo che una delle foto a cui sono più legata sia proprio “Choisir Monet” ma se dovessi sceglierne un’altra direi “Le câlin Kandinsky”: nella foto vediamo una bambina abbracciare una ragazza davanti al quadro “Avec l’arc noir” di Kandinsky che rappresenta un grande arco nero che tiene a distanza tre blocchi di colore pronti ad entrare in collisione tra loro, eppure vedendo quella scena improvvisamente è come quest’arte astratta avesse preso essa stessa le sembianze di un abbraccio: come se il quadro fosse lo specchio di ciò che stesse succedendo di fronte a lui e l’ho trovato molto tenero. (devi sapere che Kandinsky è un pittore che amo molto, che fa risuonare letteralmente con i colori la mia anima e questa tua fotografia è nella lista delle mie preferite, grazie per averla scattata, è come abbracciare l’arte stessa.)

  • Ogni fotografia che scatti ha più scatti o ne realizzi una unica? Come decidi il titolo? Porti sempre con te la tua macchinetta fotografica? Ci sono giornate che dedichi espressamente a questo progetto? Ok, questa era una carrellata di domande a mitraglietta, pardon.
Humans in Paris

Realizzo sempre più di una foto ma poi scelgo la migliore, generalmente non pubblico mai più foto con lo stesso soggetto. Come dicevo prima, la maggior parte delle volte scatto con il telefono, ma soprattutto non programmo mai quando scattare, non mi capita quasi mai di dire “oggi esco e fotografo persone” perché so che non funziona così, so che le scene migliori mi appariranno davanti agli occhi in una giornata comune, mentre sono in metro o in giro per la città. (hai ragione, come un’idea, la lampadina accesa, non la si cerca mai, arriva all’improvviso.)

  • Direi che andiamo verso la fine, perché le domande sono tante e molto intense, ma mi piacerebbe continuare ed analizzare ogni singola foto. L’ultima domanda che ti faccio è una richiesta: scatta una foto “Humans in Paris” ma a tema Je ne sais quoi. Una sfida, un gioco che spero possa divertirti e poi raccontaci come l’hai pensata.

Che bella proposta, sfida accettata! Non vedo l’ora di scattarla e mostrarvela! Grazie mille per aver dedicato tempo e spazio al mio progetto, un abbraccio a te Giorgia e un saluto a tutti i tuoi lettori, non vedo l’ora di scoprire gli altri progetti di cui parlerai!
A presto, anzi, à bientôt! (Attendo con ansia la fotografia!)

Giorgia io ti ringrazio moltissimo per il tuo tempo, non vedo l’ora di rivederti di persona e creare qualcosa di bello insieme. Per ora ti faccio un grosso in bocca al lupo e a presto!

Devo dirti Giorgia che mi hai ispirato e anche io voglio provare a raggruppare in qualche modo i miei “esseri umani” di varie città…

P.S. : presto anche la versione francese!

Jo Velvet 

Una replica a “Humans in Paris”

  1. […] al progetto HUMANS IN PARIS. Se volete saperne di più potete seguirla su Instagram e leggere la splendida ed esaustiva intervista di Jo Velvet (Giorgia Velluti) sul suo blog Je ne sais quoi (c’è la versione italiana […]

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